19 febbraio 2015

A cura di Mariapia Cavani - evento organizzato dall'Associazione culturale "L'asino che vola" presso La Tenda, Modena

Incontrare Stefania ed entrare nella sua vita è un'opportunità preziosa. Ci avventuriamo in un territorio difficile da praticare, quello della malattia mentale, per renderci conto che coloro che ne soffrono, come Stefania, non possono essere ridotti ad una mera diagnosi. Stefania, la prima domanda che ti faccio è proprio questa: come mai hai voluto mettere sulla carta una parte della tua storia e condividerla con i lettori?
I racconti e i pensieri contenuti nel libro sono stati quasi tutti scritti alcuni anni fa, durante un percorso di psicoterapia al quale sono arrivata poiché mi trovavo in una condizione di sofferenza psichica, nonostante avessi già subito due ricoveri e seguissi una terapia farmacologica. Questo percorso di psicoterapia ha avuto un esito non positivo, poiché i miei sintomi sono peggiorati. Ma c'è stato anche un fatto sorprendente, e cioè che ho cominciato a scrivere ogni giorno. Si è trattato di una forma di scrittura epistolare, la cui destinataria era appunto la psicoterapeuta. Recentemente, raggiunta una condizione di buon compenso psicopatologico, ho rimesso mano a quegli scritti, ne ho fatto una cernita e ho cominciato a sottoporli ad alcuni amici, che mi hanno suggerito la pubblicazione. Convintami della cosa, ho cercato una casa editrice.

Noi "normali" facciamo fatica a trovare il linguaggio giusto per affrontare questo argomento. Parlare di una gamba rotta è facile, ma parlare di una malattia psicologica è molto più difficile. Credo quindi che questa sera sarà proficuo ascoltare Stefania, perché lei stessa ci fornirà strumenti di incontro, di approccio, affinché noi non abbiamo paura a domandare, e le persone con un percorso simile al suo non abbiano paura a rispondere. Stefania, dalla pubblicazione ti aspettavi qualcosa in particolare, magari un certo tipo di lettore, o semplicemente ti ha guidata il desiderio di vedere raccolto il materiale riguardante le tue vicende? Mi hai detto che c'è già attenzione verso il libro. Non credi che il libro sia arrivato a colmare un vuoto?
Ho ricevuto numerose risposte positive da parte di associazioni a supporto dei malati e da parte di professionisti (psichiatri, psicologi). Non vorrei tuttavia che il libro fosse confinato nell'ambito della psicopatologia, poiché credo che le emozioni, i sentimenti, gli stati d'animo che esso narra accomunino tutte le persone. Spero dunque che il libro rappresenti una raccolta di spunti validi anche per chi è "normale".

Il libro è complesso, e con questo intendo fare un complimento. Non ha una sola tonalità, ci sono alcune parti più narrative, che ci permettono di conoscere i tratti più importanti della tua vita, e alcune parti più liriche, più strettamente emozionali, grazie alle quali entriamo direttamente nelle tue sensazioni e nel tuo cuore. Puoi brevemente raccontarci qualcosa della tua vita?
É vero, nel libro ci sono alcune alternanze stilistiche piuttosto repentine. Quanto alla mia vicenda personale, ho cominciato a star male quando ero bambina, e prima di arrivare a una diagnosi e di intraprendere una terapia farmacologica, ho dovuto attendere i trent'anni. Tuttavia vi è stato un aspetto positivo, e cioè che, avendo cominciato a curarmi dopo la nascita di entrambi i miei figli, ho potuto portare a termine le gravidanze senza l'assillo di possibili effetti collaterali dei farmaci. Certo, c'è voluto tempo, ma sono ora approdata a una condizione di equilibrio, per la quale ringrazio la psichiatra che mi segue e la mia famiglia, poiché la ricetta per chi soffre di malattia mentale è fatta di un medico di riferimento col quale ci si trovi in sintonia, di una terapia farmacologica azzeccata e dell'amore delle persone care. Penso dunque di essere stata molto fortunata.

Un equilibrio che non tutti trovano. Quanta delicatezza serve nel rapporto con le persone per trovare questo equilibrio che stasera condividi con noi?
Ho impiegato anni per trovare un equilibrio. Trovare un equilibrio ha voluto dire cambiare medico e terapia farmacologica numerose volte. Se ci sono riuscita è grazie all'aiuto delle persone che mi sono state vicine e che non si sono scoraggiate. Mi riferisco specialmente a mio marito e a mia madre.

Neanche tu però ti sei scoraggiata... Vi faccio sentire poche righe della voce di Stefania. Non vi svelo la struttura del libro, vorrei soltanto condividerne alcuni assaggi: "Non osano pensare all'io come ad un insieme di parti. E tanto meno li sfiora l'idea di applicare il gioco allo studio di queste parti, invece che della sintomatologia del paziente. L'interezza dell'io è un dogma sacro, vecchio quanto l'uomo, arduo da scardinare. Cosicché queste persone ingegnose e piene di buon senso, invece che stare al gioco, invece che parteciparvi davvero, si limitano a guardare, rimanendo nel limbo dei naturalisti stupiti."
Questa è una elucubrazione che a un certo punto ha preso, ma che probabilmente ha un fondo di verità. Ero convinta di poter modellizzare la mente dello psicotico facendo riferimento alla teoria dei giochi non cooperativi. Peraltro non ho conoscenze specifiche in materia. Si trattava di una sorta di delirio...

Io l'ho trovata molto interessante proprio perché suggerisce un approccio diverso, istiga a cambiare il punto di vista...
L'idea era di considerare la mente dello psicotico non come un'unica entità malata, ma come un insieme di pezzi non cooperativi, ciascuno dei quali persegue il proprio massimo vantaggio. Era questo il paradosso: vedere il comportamento del matto come il risultato della non cooperazione di parti perfettamente razionali.

Stefania ha anche un interessante percorso accademico legato allo studio della geologia, ma purtroppo, per la condizione in cui versa la ricerca in Italia, in questo momento non sta lavorando. Ci dici qualcosa di questo percorso?
Ho fatto la tesi di dottorato su rocce di mantello, che raramente si trovano in superficie. Si è trattato di una cosiddetta ricerca di base, appassionante, che però non ha avuto seguito e che non è spendibile nel mondo lavorativo. Successivamente ho cambiato settore e sono passata allo studio di alcuni minerali, come le miche e le zeoliti naturali. Queste ultime potrebbero avere numerose applicazioni, senonché per vari motivi non sfondano sul mercato.

Torniamo alla voglia di raccontarsi. Ci sono anche dei passaggi molto intimi nel libro, in cui ci riveli zone profonde di te. Non hai avuto un po' di paura a metterti a nudo?
Non ho avuto paura per me stessa. Ho temuto che alcune cose potessero danneggiare chi mi era vicino, questo sì.

D'altra parte quando parliamo di poesia, parliamo anche di trasfigurazione. É vero, Stefania parte dalla sua specifica esperienza, ma con il desiderio di toccare corde comuni. Non ci troviamo davanti a un'autobiografia, davanti a una storia, davanti a date di eventi. Ci troviamo davanti ai passaggi dell'animo di chi scrive, che risuonano anche in ciascuno di noi. Questo accade ad esempio nel brano che condivido adesso: "Lotto costantemente col bisogno di vederti. Sono assediata dalla convinzione delirante che tu abbia il potere di sollevarmi - con lo sguardo, col sorriso, con la mano tesa - dalle fatiche ruminative che non vogliono darmi tregua. Ieri ad una festa di compleanno c'era una donna che ti assomigliava. L'ho fissata per tutto il tempo." Chiunque di noi è così quando è innamorato.
Si trattava in questo caso del rapporto con la medesima psicoterapeuta che ha dato adito alla produzione degli scritti raccolti nel libro. Si era instaurato da parte mia un transfert fortissimo, c'era una vera e propria forma di innamoramento nei confronti di questa persona.

Questo innamoramento ha portato a mettere insieme il materiale che adesso stai presentando. Perciò è stato fertile di conseguenze.
I benefici di quel percorso di psicoterapia sono venuti fuori col tempo. É curioso, ci sono voluti anni prima di capire la ricchezza che ne era scaturita.

Anche se mi dicevi che per te la relazione con la psicoterapia è complessa.
Sì, quello è stato l'unico percorso che sono riuscita a portare avanti. Nella buona condizione in cui sono adesso preferisco non intraprendere nuovamente la psicoterapia, poiché potrebbe spostare i termini dell'equilibrio raggiunto, conducendomi a stare male.

C'è un'altra parola che possiamo condividere. É la parola "consapevolezza". Ho trovato, nella Stefania scrittrice e nella Stefania persona, una grandissima consapevolezza di sé. Quanto sei consapevole di Stefania, oggi?
Diciamo che la consapevolezza di me non mi fa paura, non mi fa paura...

E dici poco? Ancora uno stralcio: "Dovrei forse resistere al privatissimo miraggio che non mi abbandona, un miraggio fatto di femminilità di velluto dorato, luminoso, profumato? Alla sapienza della voce vera che ho sempre nelle orecchie, una voce fatta di insenature tremule, piene di turbamento, in cui il fiato si rompe appena e fugge in un sospiro, dovrei forse resistere? Dentro quella voce io vorrei morire. É forse peccato? Osservo l'ordito portentoso dei filamenti intrisi di consonanti di lei; consonanti che con grazia le si adagiano sulla punta della lingua, sul palato, sulle labbra, o vanno a morirle in gola. Nessuna si perde - posso stare sicura - e io rimango ad attenderle una per una, e per ciascuna fremo non appena le sfiora la bocca."
Grazie per aver letto questo brano. É scritto per la mia cantante lirica preferita, Barbara Bonney. Anche verso di lei c'è una forma di amore profondo, per la sua arte sublime e per la schiettezza con la quale si è sempre rivolta al pubblico. Questo pezzo l'ho scritto ascoltando uno dei lieder da lei interpretati.

Ti faccio una domanda che amo fare a tutte le persone che scrivono. Nel tuo libro ci sono note sulla teoria dei giochi, e poi ci sono parti liriche. Come lavori sui testi? Questi nascono senza essere ritoccati oppure vengono riscritti e limati, alla ricerca di un qualche effetto? Com'è il tuo modo di metterti davanti alle parole?
Non essendo uno scrittore di mestiere, mi metto davanti a un foglio quando sono ispirata. E quindi scrivo di getto. Poi, però, faccio decine e decine di riletture e ogni volta cambio, cercando parole che conferiscano musicalità, che diano adito ad assonanze...

Quindi ti affidi al suono delle parole... Certamente la scrittura è un prezioso veicolo di condivisione, ma dopotutto la parola nasce per essere pronunciata. Negli scritti di Stefania si sente la finezza con cui ha costruito le pagine. Un altro stralcio. Parliamo del famoso binomio genio-follia: "So cosa sta per dirmi, e aggiungo subito che Virginia Woolf e Anne Sexton hanno dato il meglio del proprio talento durante le fasi di buona compensazione psicopatologica. Il genio appartiene al sano di mente, poiché richiede equilibrio ed una grande mole di lavoro. Il folle può avere folgorazioni, ma non riuscirà ad elaborarle in una espressione artistica coerente."
In questo brano parla la psichiatra che mi segue. Sono d'accordo con lei. A malincuore. Dalla follia possono giungerci spunti poetici, visioni originali, ma è lo stato di buona compensazione che ci consente di conferire una struttura convincente allo scritto, di rendere comprensibili al lettore le nostre intuizioni.

Ci sono stati momenti nel corso della tua adolescenza in cui hai visto come irraggiungibile il traguardo a cui oggi sei giunta?
Durante le sofferenze dell'adolescenza ero convinta che qualcosa di positivo sarebbe infine derivato da tanto dolore. Avevo questa idea consolatoria. Da adulta, invece, ho passato periodi in cui ho pensato che non sarei riuscita a recuperare interamente la mia vita.

La tua voce dice meglio di me: "Quando vado in bici gli occhi mi si incagliano spesso su certe categorie di persone e di oggetti, e l'ansia monta, poiché le metamorfosi, che io stessa vi lascio fiorire sopra - tese, psichedeliche - mi procurano una sensazione di pre-panico che mi fa sobbalzare sul sellino. In altre parole mi spa-ven-ta-no." Ma ci spaventiamo tutti, certe volte.
Certo, quando siamo sovrappensiero e qualcosa ci si para improvvisamente davanti, ci spaventiamo tutti. Qui però facevo riferimento alle dispercezioni di cui soffro, e per le quali mi curo. Succede ad esempio che i volti delle persone si deformino. É una sensazione che può divenire angosciante.

Ci aiuti a sfatare qualche pregiudizio sugli psicofarmaci? Chi non li conosce può considerarli alla stregua di un nemico della persona. Tu invece ne parli in una maniera estremamente illuminante.
Gli psicofarmaci, come altre categorie di farmaci, sono in alcuni casi dei salvavita. Sono uno degli ingredienti che concorrono a garantire ai malati un'esistenza degna di questo nome. Gli psicofarmaci più recenti danno pochi effetti collaterali, che però dipendono da persona a persona.

Dunque gli psicofarmaci concorrono a costruire il delicato equilibrio di cui parlavamo.
Come dice la psichiatra che mi ha in cura, la terapia va cucita addosso alle persone.

Anche una buona relazione con lo psichiatra contribuisce al mantenimento di questo equilibrio.
La giusta distanza tra lo psichiatra e il malato è fondamentale. Lo psichiatra deve stare né troppo lontano né troppo vicino. E dev'essere in grado di imbastire un rapporto che gli consenta di mettere a punto una terapia farmacologica efficace per il paziente. Non c'è una terapia farmacologica che funzioni alla stessa maniera per due persone diverse. L'effetto sortito da una terapia farmacologica è estremamente soggettivo, e comunque passa per un buon dialogo con lo psichiatra.

Quello di un medico che cura la persona e non semplicemente i suoi sintomi è un ideale che tutti noi, in qualunque campo, vorremmo incontrare.
Il buon medico non ama formulare una diagnosi fine a se stessa. La classificazione dei sintomi deve servire a curare la persona, non a incasellarla descrivendola in poche righe. In altri termini, ciò che conta è come sono io, proprio io, e come posso stare meglio.

Ci sono luoghi dove le persone sono accolte e curate, a volte contro la propria volontà. Per te questi luoghi hanno in alcuni casi una luce positiva: "Arrivai alla conclusione che l'intera umanità, eccetto me, fosse folle. E tuttavia amavo osservare le persone che mi circondavano, nella speranza di carpire il segreto di una vita vissuta tutta in un istante. Nonostante mi sentissi come sul patibolo, non confessavo nulla a nessuno, poiché temevo che la cancrena che mi divorava l'anima fosse contagiosa. In questa condizione arrivai in clinica, dove fui accolta e aiutata. Come se il macigno che portavo addosso lo sollevasse un passante forte e gentile."
Fino all'età adulta, non ho saputo che il mio disturbo potesse essere curato. Ero rassegnata all'idea di portare addosso un macigno, appunto. Sono grata a chi mi ha accolta e curata.

Anche questo è uno di quei bisogni condivisi da ciascuno di noi, anche questa è una delle corde che vibrano attraverso la testimonianza di Stefania. Non esiste nessuna relazione che non parta dall'accoglienza dell'altro. Ecco un ultimo stralcio: "Prego, prego, prego! Non consideratemi perniciosa. Voi stessi riconoscete il mio diritto a galleggiare secondo modalità originali. Diversamente, ditemi chiaro e tondo che devo modificarmi. Nell'indecisione non tacete, poiché il prezzo del vostro silenzio è una concrezione di durissima solitudine."
Questa è una istantanea su certi miei tratti borderline, in cui si coglie la mia tendenza a forzare i rapporti pretendendo una eccessiva vicinanza dell'altro, e a sentirmi profondamente frustrata e sola quando l'altro non risponde come mi aspetterei.

Hai voglia di leggere un passaggio che ti sarebbe piaciuto fosse presentato?
C'è un racconto in cui si parla di una ragazza incontrata durante un ricovero. Questa ragazza ingoiava accendini. L'autolesionismo era per lei funzionale al mantenimento di un'identità personale e di uno specifico ruolo tra i pazienti. Ecco perché non avrebbe potuto smettere. C'è scritto: "Come darle torto. Lei era qualcuno in reparto. Era l'irriducibile, l'incurabile. Mai avrebbe potuto cessare di essere ciò che era. Proprio allora avrebbe rischiato la fine. L'autodistruzione era poderosa spinta alla sopravvivenza per N., era lo scotto da pagare per continuare a esistere."

Anche questa è una forma di equilibrio...
Sì, perverso, purtroppo.

Questa non è l'unica compagna di strada che Stefania ci presenta. Nei suoi scritti, il racconto delle relazioni è fatto sempre con garbo. Nelle situazioni di dolore non c'è né l'occhio freddo, esclusivamente clinico, né la paura. C'è una vicinanza, data dalla consapevolezza che certi vissuti sono condivisi. C'è un passaggio in cui racconti che al Centro Diurno ci vai per scelta. Un altro paziente ti dice: "Tu vieni, ma potresti anche non farlo." Cosa ha significato per te recarti in quello spazio?
Ero probabilmente in una situazione meno drammatica rispetto ad altri pazienti. Però dovevo andarci, perché in quel periodo non riuscivo a stare in casa da sola, avevo dispercezioni, vedevo... un fantasma. Lì ho conosciuto vari pazienti. É stata un'esperienza che mi ha arricchita.

Devo dire che la tua è una storia di belle relazioni, a partire dalla famiglia. Questo ci fa capire che il fatto di avere una sofferenza interiore non preclude certe strade della vita. É così ovvio questo? Ti è capitato di pensare di essere il tuo male e che tutto il resto della vita ti fosse precluso?
Quando ero nella fase di acuzie era così: io mi identificavo con la malattia. Il fatto di riuscire a mettere una distanza tra me e la malattia è venuto col tempo ed è stato il frutto di un ritrovato equilibrio.

Stai scrivendo ancora?
Sì, ci sto provando. Ma dopo l'intensità dei pezzi che sono raccolti in questo primo libro ho il timore di non riuscire a produrre materiale altrettanto efficace.

Forse è ancora presto per preoccuparsene. Il libro quando è stato pubblicato?
In dicembre con una tiratura limitata, essendo l'opera di un'esordiente, però è già stata fatta una ristampa.

Cosa ha spinto l'editore a pubblicare un'opera di questo genere? Com'è scoccata la scintilla?
Con l'editore Sergio Tani, di Books & Company, è nato fin da subito un rapporto di stima e amicizia reciproca. In prima battuta gli ho telefonato per chiedergli se fosse interessato a visionare il manoscritto. Lui mi ha risposto illustrandomi le precarie condizioni in cui il mondo della piccola e media editoria italiana versa, ma poi ha accettato. Quindi gliel'ho spedito via email, e dopo un paio d'ore mi ha ritelefonato, per dirmi che ne era rimasto colpito. Mi ha chiesto se si trattasse di materiale autobiografico.

Il libro era già strutturato in questo modo?
Abbiamo fatto insieme il lavoro di editing. Non abbiamo toccato i singoli pezzi, ma siamo intervenuti sul loro raggruppamento. Abbiamo soppresso alcuni capitoli, cambiato l'ordine dei rimanenti, e ridistribuito i pezzi. Inoltre, a un certo punto del libro c'è una sorta di avviso per il lettore, voluto da Sergio Tani e pensato per ovviare ad un cambio di registro improvviso. Si passa infatti da una prima parte del libro in cui la malattia mentale viene contestualizzata e mediata nel racconto, ad una seconda parte in cui si succedono brandelli di pensieri sospesi nel nulla. Questo fatto andava in qualche modo giustificato agli occhi del lettore. Anche la postfazione è stata voluta da lui. E per finire, è stato Sergio Tani a scegliere il titolo.